Invisibile

Oggi è stata una giornata di quelle in cui il Parkinson non solo mi prende il corpo, ma mi cancella. Invisibile. È la parola che mi segue ovunque, come un’ombra muta. Non mi vedono. Non mi ascoltano. Passo accanto e sembro aria. Il Parkinson non mi lascia solo tremori o lentezze. Mi toglie presenza. Mi toglie voce. Non capisco se è la malattia o il modo in cui gli altri reagiscono a essa, ma il risultato è lo stesso: scompaio. È una forma di umiliazione sottile. Non plateale. Nessuno mi insulta. Nessuno mi grida contro. Semplicemente… non ci sono. Quando parlo, a volte la voce non esce come vorrei. E allora vedo gli sguardi che si abbassano, le parole che mi scivolano addosso. Come se la mia difficoltà a parlare cancellasse anche il diritto di essere ascoltato. È come se la mia fatica infastidisse. Come se fosse colpa mia. Come se fossi diventato un errore da ignorare. Oggi non chiedo comprensione. Non chiedo pietà. Ma almeno il diritto di esistere. Di essere visto, anche se storto, lento, tremante. Perché anche così, sono ancora io.

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